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BREVE STORIA DELL'ISOLA DI PLASTICA NELL'OCEANO PACIFICO

Nel mezzo dell’Oceano Pacifico, tra 135º e il 155º meridiano Ovest e il 35º e il 42º parallelo Nord, si trova quella che in italiano viene definita (abbastanza impropriamente) l’Isola di plastica del Pacifico. Non è una vera isola ovviamente – non un singolo centimetro di superficie è realmente calpestabile – quanto piuttosto un enorme accumulo di spazzatura, composto principalmente da plastica e da rottami marini. 
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Di NOAA - http://marinedebris.noaa.gov/info/patch.html

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​Formazione del vortice

Il Pacific Trash Vortex (conosciuto anche con il nome di Great Pacific Garbage Patch) si forma nella zona di convergenza del Vortice subtropicale del Nordpacifico, a sua volta composto da quattro correnti: la Corrente Equatoriale Nord, la Corrente Kuroshio, la Corrente del Pacifico settentrionale e la Corrente della California. Insieme queste quattro correnti delimitano un’area di circa 20 milioni di chilometri quadrati, molto calma e stabile, e con il loro movimento circolare attirano qualsiasi tipo di rifiuto marino verso questa zona di convergenza. Per fare un esempio: una bottiglia di plastica lasciata cadere da una barca in California viaggia verso sud lungo la Corrente californiana fino al Messico. Qui viene intercettata dalla Corrente Equatoriale Nord, che attraversa l’Oceano Pacifico fino ad arrivare in prossimità del Giappone, dove la Corrente Kuroshio la trasporterà nuovamente verso nord. Infine la Corrente del Pacifico settentrionale la porterà a depositarsi all’interno della zona di convergenza. 
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A contatto con i raggi ultravioletti la plastica si fotodegrada


​Ecologia e composizione dell'Isola di plastica 

Chiaramente sono necessari anni prima che la nostra bottiglia completi il suo giretto attraverso l’intero Oceano Pacifico e si vada a sistemare all’interno della zona di convergenza. Nel frattempo la plastica, diversamente dal metallo, dal legno e dalla carta, che con il tempo si ossidano o si biodegradano in maniera naturale, si fotodegrada, cioè si divide in pezzetti sempre più piccoli, fino ad assumere le dimensioni di pochi millimetri. La fotodegradazione è un processo di degradazione per effetto delle radiazioni luminose ultraviolette, che porta alla distruzione dei materiali agendo a livello molecolare. Quando interessa i rifiuti dispersi nell’oceano, ed in particolare quelli costituiti da polietilene ad alta densità (materiale che costituisce la maggior parte dei rifiuti che si trovano nell’oceano come buste di plastica, contenitori e tappi di bottiglia), la fotodegradazione porta alla disintegrazione dei rifiuti fino alla dimensione dei polimeri stessi che li compongono, che restano comunque non biodegradabili. Sono proprio queste minuscole particelle di plastica che costituiscono la maggior parte dei componenti del Vortice di plastica del Pacifico, tanto che in inglese viene utilizzato il termine soup “zuppa” per definire la particolare condizione dell’acqua di mare in cui sono immerse le microplastiche. Le microplastiche sono estremamente dannose per l’intero ecosistema marino; infatti, oltre ad essere tossiche, vengono scambiate per nutrimento dagli animali planctofagi, venendo così introdotte nella catena alimentare. Elementi non ancora degradati come le buste di plastica vengono invece scambiati da altri animali per meduse o piccoli pesci. Reti da pesca o altro materiale abbandonato infine possono finire intrappolare gli animali.
As I gazed from the deck at the surface of what ought to have been a pristine ocean, I was confronted, as far as the eye could see, with the sight of plastic.

Scoperta 

Le prime predizioni sulla possibile esistenza di accumuli di rifiuti nell’Oceano Pacifico risalgono al 1988, quando un documento pubblicato dal National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA) ipotizza la presenza di concentrazioni di detriti marini causati dalle correnti oceaniche. Ma perché il sospetto diventasse realtà qualcuno ci è dovuto letteralmente finire in mezzo. Fu Charles Moore il primo a “scoprire” l’Isola di plastica nel 1997. L’oceanografo statunitense stava attraversando l’Oceano Pacifico con la sua barca diretto verso la California quando si rese conto di star navigando “in un mare di plastica”. Per le giornate che Moore ed il suo equipaggio impiegarono ad uscire dal Vortice del Nordpacifico subtropicale continuarono a navigare circondati da rifiuti dei quali pochi sapevano dell’esistenza. Lo stesso Moore stimò nel 1999 che il rapporto tra microplastiche e zooplancton presente nella zona fosse pari a 6 ad 1. Ma è molto probabile che i primi detriti risalgano addirittura agli anni ’50, quando materiali come il polietilene e il polipropilene sono diventati di uso comune. 
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E' molto difficile calcolare la reale estensione del Pacific Trash Vortex

​Ad oggi è molto difficile riuscire a stimare accuratamente le dimensioni reali del Pacific Trash Vortex, soprattutto per la natura estremamente instabile degli elementi che la compongono. Si parla di una superficie che va dai 700.000 agli 1,6 milioni di km2; un’estensione pari a due volte quella del Texas o dell’intera Penisola Iberica. Questi dati inoltre sono disponibili solo con riferimento ai rifiuti presenti in superficie, mentre è ancora più difficile riuscire a calcolare la quantità di detriti che affondano e che si sono depositati sui fondali marini. Quello che è certo è che, nonostante ci sia molta più consapevolezza circa i rifiuti che ogni giorno vengono prodotti ed il loro smaltimento, la quantità prodotta continua ad aumentare, così come la quantità che si riversa nei mari e nei fiumi.

Chiara Sleiman

Alcuni contenuti molto utili per saperne di più

Articoli
Great Pacific Garbage Patch, National Geographic  
Trashed, Natural History Magazine
The world's rubbish dump: a tip that stretches from Hawaii to Japan
Video
The Great Pacific Garbage Patch Is Not What You Think It Is | The Swim
Charles Moore, Seas of plastic | TEDx
The First Plastic | Cleaning Oceans | The Ocean Cleanup
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